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The Zero Marginal Cost Society

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Riflessioni sull’ultimo libro di Jeremy Rifkin

Jeremy Rifkin, l’economista statunitense che ha inventato e descritto i concetti della Terza Rivoluzione Industriale, ha recentemente pubblicato il libro, “The Zero Marginal Cost Society”.
In questo ultimo lavoro Rifkin descrive la direzione verso cui il mondo si sta dirigendo, e come gli straordinari sviluppi nelle comunicazioni e nella tecnologia, che stanno portando il mondo ad un nuovo stato di nework globale di individui, energia, apparecchiature ed infrastrutture, stanno modificando le dinamiche economiche e sociali in tutto il globo.
I concetti espressi nell’ultimo lavoro dell’economista e pensatore sono stati presentati e spiegati in moltissimi articoli, interviste e video che si stanno diffondendo attraverso il network dell’informazione. Noi scegliamo di proporvi la traduzione dell’articolo pubblicato sul New York Times. Niente meglio delle parole dello stesso Jeremy Rifkin possono spiegare i risvolti dirompenti di quello che il futuro riserva all’umanità. Speriamo che apprezziate la lettura delle idee straordinarie di questo straordinario essere umano. Di seguito l’articolo: “L’ascesa dell’Anti-Capitalismo” Stiamo iniziando ad essere testimoni di un paradosso che sta avvenendo al cuore del capitalismo, un paradosso che ha portato il capitalismo alla grandezza, ma che ora ne minaccia il futuro: il dinamismo intrinseco dei mercati basati sulla competitività abbattendo i costi così tanto che moltissimi beni e servizi stanno diventando praticamente gratuiti, abbondanti, e non più soggetti alle forze dei mercati. Sebbene gli economisti abbiano da sempre visto con favore una riduzione dei costi marginali, essi non hanno mai previsto la possibilità di una rivoluzione tecnologica che potrebbe portare questi costi molto vicino allo zero. Il primo abbozzo di questo paradosso avvenne nel 1999, quando Napster, il servizio musicale, sviluppò un network che permetteva a milioni di persone di condividere brani musicali senza dover pagare i produttori e gli artisti, creando scompiglio nell’intera industria musicale. Fenomeni simili hanno continuato ad accadere in altri campi, danneggiando gravemente il settore dell’editoria, sia per quanto riguarda i giornali che per i libri. I consumatori hanno cominciato a condividere autonomamente i propri contenuti informativi e di intrattenimento, tramite video, audio e testi, praticamente gratis e bypassando in toto i mercati tradizionali. L’enorme riduzione dei costi marginali ha scosso profondamente queste industrie, e sta ora iniziando a rimodellare i paradigmi energetici, manifatturieri ed educativi. Nonostante il fatto che i costi fissi delle tecnologie solari ed eoliche siano abbastanza sostenuti, il costo per la “cattura” di ogni unità di energia è basso, se si prescinde dai succitati costi fissi. Questo fenomeno si è insinuato anche nel settore manifatturiero. Migliaia di amatori stanno già producendo i propri prodotti tramite le tecnologie di stampa 3D, i software liberi e open source e la plastica riciclata a fare da materia prima, portando i costi marginali a quasi zero. Nel frattempo, più di 6 milioni di studenti partecipano a corsi online di dimensioni mai viste prima, gratis e di alto livello; i contenuti di questi corsi sono distribuiti a costo marginale vicino allo zero. Gli analisti industriali riconoscono l’inquietante realtà di un’economia a costo marginale zero, ma ribattono dicendo che prodotti e servizi gratuiti permetteranno ad un numero sufficiente di consumatori di comprare beni e servizi di livello superiore, garantendo margini di profitto sufficienti a permettere al mercato capitalista di continuare a crescere. Ma il numero di persone disposte a pagare per beni e servizi addizionali di alto livello è limitato.
Adesso il fenomeno è sul punto di coinvolgere l’intera economia. Una formidabile nuova infrastruttura tecnologica – l’Internet delle Cose – sta emergendo, con le potenzialità per spingere la maggior parte della vita economica al livello di costo marginale vicino allo zero nel corso dei prossimi due decenni. Questa nuova piattaforma tecnologica sta iniziando a interconnettere tutto e tutti. Oggi più di 11 miliardi di sensori sono applicati a risorse naturali, linee di produzione, reti elettriche, network logistici e cicli di riciclo, e impiantati in case, uffici, negozi e veicoli, immettendo immani quantità di dati nell’Internet delle Cose. Entro il 2020 si prevede che almeno 50 miliardi di sensori saranno connessi ad esso.
La gente può connettersi al network ed usare questi dati, i sistemi di analisi e gli algoritmi di gestione per accelerare l’efficienza e diminuire i costi marginali di produzione di un’ampia gamma di prodotti e servizi fino a quasi zero, come oggi già si fa con l’informazione. Ad esempio, 37 milioni di edifici negli Stati Uniti sono stati dotati di misuratori e sensori connessi all’Internet delle Cose, fornendo informazoni in tempo reale sull’utilizzo e sulla variazione dei prezzi dell’elettricità nella rete di distribuzione. In futuro questo permetterà agli edifici abitativi e lavorativi – che produrranno ed immagazzineranno energia rinnovabile grazie ai loro sistemi solari ed eolici – di programmare software che li escluderanno dalla rete di distribuzione quando i prezzi raggiungono i livelli massimi, in modo da alimentare i propri edifici con la propria energia verde e condividere i surplus con i vicini a costi marginali vicini allo zero. Cisco prevede che entro il 2022 i guadagni del settore privato in termini di produttività permessi dall’Internet delle Cose supereranno i 14 trilioni di dollari. Uno studio condotto da General Electric stima che gli avanzamenti nella produttività garantiti dall’Internet delle Cose potrebbero interessare metà dell’economia mondiale entro il 2025.
La questione irrisolta è la seguente: come funzionerà questa economia del futuro quando milioni di persone potranno produrre e distribuire beni e servizi a costo quasi nullo? La risposta sta nella società civile, che si compone di organizzazoni no-profit che si occupano delle cose che durante la nostra vita produciamo e condividiamo come comunità. In termini economici, il mondo del no-profit è una forza potentissima. I guadagni del no-profit sono cresciuti con al robusto tasso del 41% – applicando le variazioni dovute all’inflazione – dal 2000 al 2010, più del doppio della crescita del PIL statunitense, che è cresciuto del 16,4% durante lo stesso periodo. Nel 2012, il settore no-profit negli Stati Uniti è valso il 5,5% del PIL totale.
Quello che oggi rende i beni comuni sociali più rilevanti è che si sta costruendo un’infrastruttura basata sull’Internet delle Cose che ottimizza la collaborazione, l’accesso universale e l’inclusone, tutte cose fondamentali per la creazione di capitale sociale e per gettare le basi di un’economia della condivisione. L’Internet delle Cose è una piattaforma rivoluzionaria che permette ad un’emergente cultura dei beni comuni collaborativi di prosperare a fianco del mercato capitalista.
Questo approccio collaborativo invece che capitalistico consiste nel focalizzarsi sull’accesso distribuito invece che sulla proprietà privata. Ad esempio, 1 miliardo e 700 milioni di persone in tutto il mondo sono membri di servizi di car-sharing. Un recente sondaggio ha evidenziato come il numero di veicoli posseduti da individui partecipanti a servizi di car-sharing è diminuito del 50% dopo aver aderito al servizio, con i membri che hanno preferito l’accesso rispetto al possesso. Milioni di persone usano siti di social media, network di ridistribuzione, servizi di noleggio e cooperative per condividere non solo automobili, ma anche case, vestiti, attrezzi, giocattoli ed altri oggetti a costo marginale basso o quasi nullo. L’economia della condivisione ha guadagni annui previsti di 3,5 miliardi di dollari.
Il fenomeno del costo marginale zero ha il suo maggior impatto nel mercato del lavoro, dove fabbriche ed uffici privi di manodopera umana, servizi di vendita online e logistica e network di trasporto automatizzati vanno diventando sempre più prevalenti. Non sorprende che i nuovi sbocchi occupazionali si vadano orientando sempre più verso campi tendendi al no-profit e al miglioramento della coesione dell’infrastruttura sociale – educazione, sanità, aiuto ai bisognosi, risanamento ambientale, servizi per i bambini e per gli anziani, promozione delle arti e delle attività ricreative. Negli Stati Uniti il numero di organizzazioni no-profit è cresciuto di circa il 25% tra il 2001 e il 2011, da 1,3 a 1,6 milioni, un’enormità rispetto alle imprese a scopo di lucro, cresciute di un misero 0,5%. Negli USA, in Canada e nel Regno Unito l’impiego nel settore no-profit supera ad oggi il 10% della forza lavoro totale.
A discapito dell’impressionante crescita, molti economisti sostengono che il settore no-profit non è una forza economica a sé stante, ma che al contrario è un parassita dipendente dalle sovvenzioni governative e dalla filantropia privata. È vero il contrario: un recente studo rivela che circa il 50% dei guadagni totali del settore in 34 Stati deriva da adesioni e donazioni volontarie, mentre il supporto governativo vale il 36% e la filantropia privata il 14%. Per quanto riguarda il sistema capitalista, è probabile che rimarremo in sua compagnia per molto tempo ancora, anche se sarà relegato ad un ruolo più circoscritto, primariamente in qualità di aggregatore di servizi per i network, permettendogli di imporsi come un potente attore di nicchia nell’era a venire. Noi, comunque, stiamo per entrare in un mondo che oltrepassa parzialmente i mercati, dove impariamo a vivere insieme in un mondo di beni comuni globali, collaborativo e interdipendente.
Più articoli, informazioni e dettagli sul nuovo libro di Jeremy Rifkin sono disponibili su http://thezeromarginalcostsociety.com
Fonte: CETRI TIRES Organization

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